Quattordici dopo l’inizio dei primi focolai di Coronavirus in Italia, ci ritroviamo in una situazione che gli esperti avevano previsto, ma al tempo stesso in una situazione che le nostre menti non avrebbero potuto – e forse voluto – mai immaginare. Chiusi in casa, con quel tè che magari bastasse per uccidere il tanto maledetto coronavirus il quale – pare – resti in gola due giorni. I giorni scorrono veloci, esattamente come il virus e di conseguenza la cronologia di eventi che non riusciamo ad anticipare. Non possiamo, tuttavia, dimenticare ciò che è successo in queste due settimane, ovvero tutto e il contrario di tutto. Prima l’allarme dopo i primi due focolai, un weekend – quello del 22 e 23 febbraio – di grande paura e timore soprattutto per il Nord Italia. Due focolai, uno rilevante nel lodigiano, l’altro in Veneto, nel comune di Vò. La domenica del 23 febbraio la ricorderanno anche gli ischitani: un’ordinanza dei sindaci (poi annullata) fermava lo sbarco dei turisti provenienti dalle regioni Lombardia, Veneto e Piemonte. Quella domenica la ricorderemo per il video di Teresa, sbagliato nei modi e nella sua divulgazione, ma per nulla sbagliato nel merito che era di fatto lo stesso dei sindaci. Anche sulla scia del carnevale, si è deciso chissà per quale motivo che l’emergenza andava alleggerita, sminuita, soprattutto nel modo in cui essa veniva comunicata. Da una parte gli aggiornamenti costanti della Protezione Civile Campania e del Governo con il presidente Conte, dall’altra gli aperitivi di Zingaretti e le campagne di #milanononsiferma. “E’ una normale influenza” ha provato a farci credere qualcuno appellandosi a un non ben chiaro complotto (ma di chi e per quale motivo, non lo abbiamo capito). “Ma la mortalità è del 3% , rischiano solo le persone già affette da patologie importanti, prima o poi lo prenderanno tutti”, sono le esternazioni più cliccate e condivise dai social. Al Nord e in particolare nelle zone più colpite dal virus, arrivano i primi provvedimenti restrittivi, la famosa zona rossa, la chiusura delle scuole e tante raccomandazioni sull’igiene e in generale sulle abitudini da cambiare. Con la stessa precisione di un metronomo e con il solito intervallo di 24 ore, il Capo della Protezione Civile Angelo Borrelli (commissario per l’emergenza) ha continuato ad aggiornare giorno dopo giorno i dati del Coronavirus: numero di contagiati, numero di morti, numero di ricoverati, numero di pazienti in terapia intensiva, numero di persone in isolamento, numero di guariti. Nelle varie regioni e persino nei vari comuni singole ordinanze, non condivise, magari annullate dagli enti superiori, tanto caos. Il Governo ha alzato la voce con il Decreto dl 1 Marzo avocando a sé il potere di emettere provvedimenti per la gestione dell’emergenza. Sempre il Governo, nel frattempo, parla di emergenza, ma non agisce nei territori non ancora “contaminati” e quasi nel tentativo di aggirare l’impossibilità di intervento, le Regioni giustificano la chiusura delle scuole in gran parte d’Italia con la necessità di procedere alla sanificazione non solo per le scuole, ma anche per uffici, strutture e trasporti pubblici. E fu sera e fu mattina, lunedì 2 marzo si è ritornati tra le polemiche e l’indecisione totale anche tra i banchi di scuola. Mentre i casi continuavano ad aumentare, le scuole chiudevano laddove si presentavano nuovi casi positivi. Persino l’isola d’Ischia non ne è rimasta immune e il destino ha voluto che il primo positivo (riscontrato martedì 3 marzo) fosse proprio un turista arrivato nel primo weekend di polemiche. Vengono superati i 1000 contagiati, la situazione sta sfuggendo di mano e il Governo interviene con un nuovo decreto – quello del 4 Marzo – che chiude le scuole in tutta Italia almeno fino al 15 marzo, salvo nuove proroghe. Lo sport si ferma a intermittenza, ci si interroga sul come mantenere anche nei luoghi pubblici il tanto predicato metro di distanza. 2000,3000, 4000,5000 contagiati. Non sono bastati i provvedimenti restrittivi delle zone rosse e se è vero che un aumento dei contagiati era prevedibile, troppo poco si è fatto per rappresentare la realtà dei fatti. Una realtà che quattordici giorni fa non doveva sì cadere nell’allarmismo, ma neanche essere derisa davanti a uno spritz. Lo stesso destino che ha voluto positivo il turista bresciano a Ischia, ha voluto persino Zingaretti positivo. Nessuna punizione divina, semplicemente era prevedibile. Guai a dire che l’informazione ha manipolato e allarmato inutilmente la popolazione. Le informazioni vere, chiare, erano lì a portata di tutti, ma chi doveva recepirle non ha voluto farlo fino in fondo; non abbiamo Manzoni a raccontare l’epidemia, ma i social e internet – se ben usati – ci avrebbero potuto aiutare. Il tè in questa domenica atipica e triste per chi ha voluto rispettare quasi alla lettera le ordinanze del Presidente del Consiglio e del Presidente della Regione, si è quasi freddato. Un po’ come il cuore che inizia a battere più forte se pensiamo a quei numeri che 14 giorni fa sembravano banali e gestibili: su 100 contagiati, 75 sono asintomatici o curabili facilmente, 10 finiscono in terapia intensiva, 5 (molto probabilmente anziani) muoiono. “Che sarà mai”, ha pensato qualcuno. Adesso, mentre Borrelli sta aggiornando i dati che vedono altri 1300 malati e quota 6000 positivi ampiamente superata, immaginate 600 persone in terapia intensiva, immaginate 300 morti, immaginate una forte concentrazione di ricoverati più o meno nelle stesse zone, immaginate 300 famiglie che piangono i propri cari, i propri nonni, i propri papà, le proprie mamme; immaginate l’insufficienza di medici, di macchinari, di posti letto; immaginate adesso che un popolo, in totale opposizione alle regole necessarie per quanto tardive imposte dal Governo, scappi dai luoghi maggiormente contaminati, continuando ad andare in discoteca, a messa, a cena (magari in tavolate da 10), in palestra, in piscina. Immaginate di essere sul vostro divano con il tè ormai finito e il telecomando a portata di mano, accendete la Tv e scoprirete che non c’è nulla da immaginare…è tutto incredibilmente vero! Non c’è esercito alle stazioni in strada, non c’è presidio o controllo che tenga agli imbarchi. Siamo il popolo italiano, non quello cinese. Quante volte ce ne siamo vantati, adesso possiamo tranquillamente vergognarcene. Quella del coronavirus è una sfida che siamo chiamati a vincere se non vogliamo piangere nostri cari, oltre che il crollo della nostra economia. Una sfida che è quella di sempre, quella del primo giorno in cui si è saputo del primo focolaio: cercare di rallentare il più possibile la diffusione del virus per evitare il sovraffollamento dei nostri ospedali, quelli del sud ancor di più perché certamente meno attrezzati di quelli del nord già arrivati al massimo della capienza. Perché, in tutto questo, le altre malattie mica vanno in vacanza! Ci sarà tempo per pensare all’economia, al turismo, alle tasse da pagare. L’emergenza è prima sanitaria, poi anche economica. Se oggi i numeri negativi dell’epidemia crescono sempre di più non è solo per il ritardo dei provvedimenti, ma crescono soprattutto per la totale mancanza di senso civico e buonsenso da parte di noi cittadini: egoisti e spacconi, almeno fino a che il problema non ci riguarderà in prima persona. Siamo, però, bravissimi a creare fake news, a cercare l’untore, a fare i politici, i virologi, i medici. Siamo bravi a fare tutto, tranne che a fare la nostra parte. Nulla può fermare il virus, nessun provvedimento può non essere aggirato o comunque non sufficiente. Di sicuro, però, possiamo indebolire questo virus bastardo che ci sta togliendo le nostre abitudini, le nostre certezze, ma anche il nostro stupido spirito di superiorità. Abbiamo scoperto tutta la nostra fragilità, la nostra deficienza, le nostre paure. Siamo ancora in tempo per fermarci sul serio e ritornare il più presto possibile a bere lo spritz all’happy hours con un pizzico di follia, invece che il tè davanti al camino con tanta depressione.