L’isola d’Ischia è in lutto per la scomparsa improvvisa di una vera icona del nostro territorio. Oggi 16 aprile è scomparso Riccardo D’Ambra, ideatore e titolare insieme a sua moglie Loretta della storica Trattoria “Il Focolare” e fiduciario “Slow Food”. Da sempre attivo sul territorio e sensibile alle tematiche legate all’agricoltura, al cibo sano, alla natura, alle tradizioni; ha viaggiato tanto, ma ha sempre messo al centro delle sue attività e della sua vita l’isola d’Ischia, la cucina tipica “di terra, anche se pure il pesce è buono”. Da sempre vicino ai giovani, a cui ha cercato di trasmettere valori e sfide nuove, innovative. Non sempre è stato ascoltato, forse troppe volte non abbiamo saputo comprenderlo fino in fondo, soprattutto sul tema di un’isola che aveva ingenuamente abbandonato l’agricoltura per dedicarsi esclusivamente al turismo; oggi più che mai possiamo capire quanto avesse ragione. Resteranno indimenticabili gli eventi a tema al “Focolare” con i suoi interventi, i progetti di Slow Food, presente a Ischia Safari, Stelle in Strada, i suoi progetti Cibo in Trincea, “La Piccola N’Drezzata”, le attività con le scuole, qualsiasi parola e tentativo di ricostruzione della sua vita sarebbe monca di qualcosa, ne siamo certi. E’ stata una vita vissuta fino in fondo e caratterizzato dal grande amore per la famiglia: la moglie Loretta, 8 figli (sei donne e due uomini) la “ciurma” D’Ambra, una miriade di nipoti (almeno dieci). Una famiglia speciale che ha perso il proprio faro ma che eredita una cultura dal valore inestimabile. Riccardo se ne è andato “velocemente” come aveva sempre sperato, forse troppo presto e soprattutto quando avevamo ancora bisogno del suo ottimismo.
Uno degli ultimi messaggi di Riccardo.
Riccardo, il gigante buono di Ischia
Parecchi anni fa, quando la pubblicità trasmetteva contenuti ed emozioni, una nota azienda dolciaria di Alba si affidava a un gigante buono che alla domanda “Gigante, pensaci tu” rispondeva, con aria serafica e in modo perentorio “ci penso io”. Questo mi fa venire in mente Riccardo D’ambra quando lo incontro. Uomo tenace. Riesce a conquistare il suo interlocutore, a fargli amare le cose in cui crede. Pur girando il mondo ha sempre messo al centro la sua Ischia. Non si può parlare di rinascita dell’agricoltura tradizionale e della gastronomia ischitana senza ricordare Riccardo D’Ambra: «Se trovo la forza di andare avanti su questa strada della valorizzazione dell’agricoltura e del coniglio da fossa in particolare lo devo a mio padre Michele, che credeva molto nel potenziale agricolo della nostra terra e non concepiva che un’isola così bella e ricca perdesse la sua identità. La cucina tipica è quella di terra, poi si mangia anche bene il pesce. Il piatto tipico è il coniglio da fossa. Ecco, è questo che vorrei sentirmi dire da un turista». Michele D’Ambra è fondatore di Casa D’Ambra, un’importante realtà vinicola dell’Isola, dove Riccardo inizia a muovere i primi passi. Ma la sua voglia di scoprire e di conoscere nuove persone lo porta subito all’estero. Il gigante buono, uomo indomito e autentico sognatore capace di smuovere gli ostacoli, ha sempre cercato di andare oltre. Così da giovane lascia la sua amata Ischia e va a vivere in un Kibbutz perché, interessato all’agricoltura collettiva, voleva capire questo tipo di organizzazione. E poi l’Europa sempre con lo spirito di vivere popoli e culture diverse. A Londra condivide la camera con un veneto, Enzo, che anni dopo lo invita al suo matrimonio. Qui conosce la sorella di Enzo, Loretta, che nel 1974 diventa sua moglie. Con lei condivide 8 figli e insieme maturano l’idea del Focolare, il ristorante situato nel comune di Barano d’Ischia, in località Cretajo, a 300 metri di altitudine. Il mare appena si scorge da un angolo del terrazzo: laggiù, in basso. Si è completamente immersi nella natura e la cucina rispecchia questo luogo, in una perfetta unione tra territorio e ristorazione, dove Loretta è in cucina e Riccardo in sala. Più che portare i piatti ordinati lui li racconta, riesce a trasmettere la fatica e la gioia di chi ha contribuito con la materia prima a donare quella pietanza. Poco alla volta i figli, dopo aver studiato (chi agronomia, chi psicologia o neuropsicomotrocità dell’età evolutiva, chi economia o alberghiera) entrano a far parte della squadra che lavora, a tempo pieno o saltuariamente, nel ristorante: Francesco e Agostino in cucina; Cristiana, Antonella, Mariateresa, Luciana e Silvia, che per carattere e passionalità assomiglia molto a padre, in sala. «Con il loro aiuto sono riuscito a dare la dimensione che volevo al ristorante, che partiva dall’assunto che Ischia è un’isola di terra».
All’iniziò è stato additato come visionario a parlare di territorio e identità su un’isola che correva da un’altra parte, verso il turismo di massa. Oggi per fortuna non è più così. Agricoltura e sociale sono stati i cardini della sua vita. Oltre al ristorante portava sempre avanti, anche con Slow Food, progetti rivolti alla valorizzazione dei prodotti e degli artigiani del cibo dell’isola. Ha sempre lavorato con e per i giovani cercando di trasmettere loro l’amore per la propria terra, per la storia e il rispetto del diverso. Non si è fermato nemmeno davanti a un terribile male, anzi ne è uscito più forte e determinato. Il suo segreto è credere con forza in quello che pensa e sente. In questi giorni va in onda la sua ultima “lucida follia”. All’età di 72 anni ha realizzato un progetto, Cibo in trincea – I sentimenti prima di tutto, che l’ha visto per anni camminare nei luoghi della prima guerra mondiale, incontrare persone e studiare carte: «Questa iniziativa coinvolge molti giovani. È un modo per farli riflettere sul perché i loro pari andavano a morire in guerra mentre loro stanno davanti a uno smartphone». Non è uno studio per parlare di quello che si mangiava in trincea ma un’analisi di come sia cambiata la percezione del cibo (la nascita della carne in scatola o l’incontro di culture regionali diverse). Il cibo racconta la storia. Mentre sta portando a termine questa iniziativa sono sicuro che sta pensando già ad altro perché il suo profondo idealismo e senso di libertà, la voglia di conoscere il mondo e l’umanità sono motori inarrestabili: «So che devo morire, ma mai davanti al televisore: è l’unica cosa che chiedo al Padre Eterno. Sono tutto scassato, ma la testa è ancora buona». E allora, vai Riccardo.
RFood da la Repubblica del 6 dicembre 2018, rubrica a cura di Carlo Petrini. Non perdetevi la prossima storia domani in edicola!