Termina oggi il viaggio tra i vari “Mediterranei”, epilogo che, con una vena di malinconia, porta a compimento questo palinsesto ricco di figure preminenti della scena culturale, letteraria e archeologica nonché noti scrittori, sociologi e divulgatori, insieme ai protagonisti di varie STORIÆ di terra, di mare, di enogastronomia e di musica.
L’ultima giornata di questo Festival ha condotto gli ospiti attraverso un’ ultimo viaggio nella storia di Ischia, ed il magnifico Museo Diocesano è il fiore all’occhiello di quel borgo di Celsa che ora è Ischia Ponte; ad accogliere gli ospiti della visita guidata di STORIÆ, una gigantografia temporale a muro spiega gli albori della civiltà ischitana di pari passo alla nascita e sviluppo della realtà canonica ecclesiastica, a partire da Pithekoussai (775 a.C) fino alla visita Pontificia di S. Giovanni Paolo II nel 2002.
Il museo è ospitato all’interno del Palazzo del Seminario (ossia la sede vescovile in via Seminario).
Il desiderio di aprire il Museo Diocesano fu fortemente sentito dal Vescovo Tomassini (1962-1970) che però non riuscì a metterlo in pratica. Occorrerà attendere il 5 marzo 1995, quando il Vescovo Antonio Pagano (1984-1997) con un decreto fonda l’ente Museo Diocesano di Ischia, adibendogli alcune sale del Palazzo del Seminario. I restauri dei locali, avviati dal vescovo Pagano, furono portati a termine dal successore Mons. Filippo Strofaldi. Infine, nel 2019, mons. Pietro Lagnese dà un forte impulso alla riorganizzazione del Museo, creando delle sale al piano terra e un moderno percorso con un nuovo allestimento e interamente privo di barriere architettoniche.*
La sala al piano terra presenta una raccolta di marmi; il pezzo più prestigioso di questa “collezione” è il fronte di un sarcofago a bassorilievo del tipo “di Bethesda”, di produzione romana. Questo favoloso marmo ha una storia molto complessa e antica e la sua produzione risale circa al 366-399 d.C. Anche se la provenienza resta ignota, il pregiato marmo è giunto in Italia, ad Ischia, e sappiamo che nel 1866 è stato trasferito dalla residenza estiva dei Vescovi di Ischia (nella località Cilento) all’attuale Palazzo Vescovile. Il fronte del sarcofago era murato dentro l’architrave della stanza del l’ex Vescovo in carica Pietro Lagnese: la guida ha spiegato che il pregiato marmo è stato restaurato dai musei vaticani lateranensi da Valentina Lini nel 2019 ed è attualmente quello in migliore stato di conservazione rispetto ad altri due esemplari simili collocati nei musei vaticani e in Spagna. Il monumentale fronte di sarcofago (1,85 x 0,60 m) prende il nome dall’episodio centrale della guarigione di un paralitico presso la piscina probatica di Bethesda. Gli episodi evangelici narrati e scanditi da elementi architettonici, sono: La Guarigione dei due ciechi (Mt 9,27-31), La Guarigione dell’Emorroissa (Mt 9,20-22), La Guarigione del paralitico di Bethesda (Gv 5,1-18), La chiamata di Zaccheo (Lc 19,1-10) e l’ingresso in Gerusalemme (Mt 21,1-11). Dopo il periodo di restauro, il sarcofago è stato visitato nei musei vaticani da più di sette milioni di persone ed è un pezzo dal valore inestimabile, un esempio di arte al servizio della fede.
Al Piazzale delle Alghe, si è svolto il laboratorio percettivo “Sa di mare” per bambini e ragazzi a cura di Stefania NAPOLEONE.
Nella conferenza conclusiva di questo Festival, Luigi MASCILLI MIGLIORINI (professore di Storia moderna all’Università di Napoli L’Orientale) e Giulia D’ARGENIO (Product manager 24 Ore Eventi) hanno presentato il libro “Procida. L’isola dell’attesa”
Procida è una nassa. Una nassa di strade e vicoli inerpicati sul dorso di un frammento di lava che spunta, solitario, dalle acque del Mediterraneo. È l’isola murata, dove i reclusi erano condannati a sospirare al cospetto della libertà incontenibile del mare.
Giulia D’ARGENIO accenna brevemente agli studi fatti per realizzare questo testo e apre un focale sull’immagine della nassa: “è il dedalo che caratterizza storie e vicende individuali e collettive. La dimensione femminile, attraverso l’iconica immagine di Graziella e i temi del ricamo e della tradizione delle icone mariane dette quadrilli, rappresenta la metafora del mito romantico del Mediterraneo che le vede recluse, prigioniere di un mare e che si contrappone alla dimensione maschile, che è rappresentata sia dal mare in quanto luogo di separazione dalla terra e dall’amata, sia dall’ombra scura del carcere di Palazzo D’Avalos. Le donne sono il punto di contatto anche con il mondo dei carcerati, obbligati ai lavori forzati e al contempo a vedere e desiderare il mare senza potervi accedere”.
L’anima di Procida è “nella terra con le spalle rivolte verso il mare”, e con questa citazione il prof. Migliorini conclude lasciando una definizione che lascia riflettere: “l’inquietudine dell’anima è un fardello imprescindibile di questa nostra insularità” e come tale, è una nostra nota caratteristica, che probabilmente ci difende dagli “attacchi esterni” intesi come “amore vacuo delle isole”, amore marginale, marinaio e instabile di una vita semplice e sana, di cui spesso si ha bisogno per uscire dalla routine della vita di città, ma che lascia poi un vuoto, perché le persone poi partono, e ci lasciano. E l’insularità è anche una dimensione di difesa personale.
Procida. L’isola dell’attesa è edito da Rubbettino (2022).