La personale “Riflessi fantastici”, dedicata alle fotografie di Gino Di Meglio (inaugurazione domani 15 ottobre, presso il Carcere Borbonico del Castello Aragonese alle ore 19.30, esposizione fino al 15 novembre) presenta 47 scatti dell’artista isolano ideati e realizzati negli ultimi due anni, nel tempo sospeso della pandemia. Momento ideale per riflettere sul mezzo fotografico e sull’uso che alle immagini è attribuito all’interno della cultura visiva contemporanea; per contemplare, non senza timore, il proprio paesaggio interiore da un’altra visuale prospettica; per lasciare quanto più libera la fantasia, nella parentesi più costrittiva che potesse capitarci, di indagare il rapporto dell’autore con le proprie emozioni, le memorie, l’intelaiatura emotiva modellata dalla musica e altre forme evocative del linguaggio artistico.Una delle grandi forze di seduzione della fotografia risiede nella possibilità, per chiunque, di metterla continuamente in rapporto con la vita, per capire meglio quello che ci circonda. Perfino quando racconta una cosa apparentemente fuori dall’ordinario, scopriamo che in qualche modo ci riguarda. Imprime un passo avvincente, misterioso, sempre pronta a suggerisci nuove risposte e motivi di sopravvivenza. Sorprendentemente immaginifica anche quando l’apparente staticità, favorita dalla precisione chirurgica della composizione come dal suo nitore cromatico, non è quiete, ma subbuglio e richiamo, rovesciamento e liberazione. Visionaria anche su canovacci ben noti. Quelli scelti da Gino Di Meglio appartengono anzitutto ai cantautori italiani che hanno segnato la sua generazione, lasciando riflessi indelebili. Battisti, Gaber, Dalla, Paoli, De Gregori, De Andrè, Conte, Ron, Guccini: (pare) gli unici, in quegli anni, in grado di raccontare l’esistente e il possibile, di mettere agevolmente in musica sentimenti e passioni del tempo.E ancora poeti (Baudelaire), scrittori (Bukowsky, Barrios, Erri De Luca), artisti (Kahlo) le cui citazioni diventano scatti fortemente narrativi, che in una sola immagine, una sola scena, concentrano e suggeriscono all’osservatore una o più storie possibili. Sassi, oggetti retrò, fotografie, legno e metalli. Gli amati fiori, simbolo di bellezza e caducità. Un processo creativo di scomposizione e ricomposizione di frammenti fantastici della propria immaginazione attraverso un linguaggio digitale (quasi una novità per Gino) che sembra quasi radicalizzare l’allontanamento dell’immagine dal mondo tangibile. Accanto al rametto di un albero, dentro la lanterna di una vecchia barca, dietro un volto silente e ben oltre il meditato accostamento di segni che compongono la trama e la sostanza del nostro quotidiano, si intuisce l’affiorare di una storia, il passato che (ci) sopravvive, la traccia di un mondo poetico che colma il mutismo e riempie lo spazio di versi e ricordi. Suoni e voci ancora vive, ancora presenti.