La legge di Bilancio 2019 cambia le modalità per il calcolo del rumore consentito per le attività economiche. Non si applica più il codice civile ma i limiti della legge 447/1995.
Al piano terra del palazzo dove vivi ci sono, da un lato, una palestra e, dall’altro, una panetteria. Dal primo locale provengono sempre forti rumori: si tratta quasi sempre della musica ad alto volume, utilizzata dagli istruttori di sala per motivare gli sportivi e aiutarsi ad allenare. Dal secondo magazzino, invece, arrivano i cigolii delle impastatrici che, già alle cinque di mattina, iniziano a svegliare le persone. Non è tutto; nel palazzo accanto c’è un discopub i cui clienti, di sera, fanno molto baccano quando sostano sul marciapiede, senza contare la musica che esce dal locale. Poiché abiti al secondo piano, tutti questi rumori intollerabili non ti lasciano riposare. Ti chiedi dunque quali sono i limiti di decibel per il rumore delle attività commerciali.
La materia è stata storicamente disciplinata dal Codice civile [1] ma la legge di Bilancio per il 2019 ha modificato la disciplina. Dal 1° gennaio 2019 sono previsti meno limiti al rumore e, nello stesso tempo, un argine all’eccessiva discrezionalità del giudice nel valutare quando si ha disturbo alla quiete pubblica. Ma procediamo con ordine e vediamo quali sono i limiti di immissioni rumorose per le attività economiche.
• 1 Rumori attività economiche: cosa dice il codice civile?
• 2 Rumori attività economiche: la modifica e i decibel consentiti
• 3 Qual è la differenza rispetto al passato?
Rumori attività economiche: cosa dice il codice civile?
In base al Codice civile il proprietario di un immobile non può impedire al vicino di casa di fare rumore se il suo disturbo rientra nella «normale tollerabilità». Non viene poi stabilito cosa si debba intendere per «normale». Si tratta di un criterio generico che lascia al giudice tutto il potere di interpretare la disposizione caso per caso, tenendo conto di una serie di variabili come: entità e persistenza del rumore, orario in cui viene prodotto il rumore, collocazione geografica (in un centro residenziale, dove è presente un minor rumore di fondo proveniente dall’esterno, è più facile superare i limiti della normale tollerabilità).
Prosegue poi il Codice civile stabilendo che, nell’applicare questa norma, il giudice deve contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà. Può tener conto della priorità di un determinato uso. Ciò significa che, per le attività commerciali, i limiti di rumore devono necessariamente essere più elastici: non si può infatti paralizzare un Paese e bloccare la produzione solo per garantire il silenzio assoluto nei quartieri. Diversamente dovremmo pensare alle città come divise in due parti: al centro le abitazioni, in periferia tutti i negozi, le aziende, gli uffici, le fabbriche. Il che, ovviamente, è impensabile. Dunque, il legislatore – ferma restando l’ampia discrezionalità lasciata al giudice nel determinare quale sia la «normale tollerabilità» – stabilisce dei limiti più ampi per tutte le attività economiche.
Sinora i tribunali hanno adottato un sistema comune per determinare quando il rumore costituisce disturbo alla quiete pubblica (sia per i privati che per le aziende): se l’immissione acustica supera di 3 decibel il rumore di fondo, essa si ritiene «intollerabile» e quindi vietata.
Rumori attività economiche: la modifica e i decibel consentiti
La legge di Bilancio 2019 [2] ribalta lo schema che abbiamo appena delineato. Lasciando sempre al Codice civile la disciplina dei rumori effettuati dai privati (si pensi al vicino che fa chiasso durante la notte, che alza lo stereo o la tv ad alto volume, che esegue lavori di ristrutturazione nel proprio appartamento, ecc.), sposta invece su un altro livello la tollerabilità del rumore per le attività economiche: il riferimento non è più solo l’articolo 844 del Codice civile ma la legge 447/95, la cosiddetta «legge quadro sull’inquinamento acustico». Dal 2019, quindi, in caso di un contenzioso, il tribunale dovrà usare i parametri dei decreti attuativi della legge 447/95, parametri che variano in base al tipo di sorgente sonora.
La nuova normativa ora recita nel seguente modo: «Nell’accertare la normale tollerabilità delle immissioni e delle emissioni acustiche, ai sensi dell’articolo 844 del Codice civile, sono fatte salve in ogni caso le disposizioni di legge e di regolamento vigenti che disciplinano specifiche sorgenti e la priorità di un determinato uso. Ai fini dell’attuazione del comma 1, si applicano i criteri di accettabilità del livello di rumore di cui alla legge 26 ottobre 1995, n. 447, e alle relative modifiche».
Quindi, per esempio (in base al Dpcm attuativo del 14 novembre 1997), le sorgenti di rumore da attività produttive o commerciali nelle zone prevalentemente residenziali non potranno superare i 55 Leq in dB(A) dalle 6 alle 22 e i 45 Leq in dB(A) dalle 22 alle 6 del mattino.
Il Leq quantifica le emissioni dalla sorgente e non il «rumore ambientale» percepito, misurato invece dai decibel (che restano il criterio, per esempio, per il rumore del vicinato).
I limiti in Leq del Dpcm, sono molto meno severi: si pensi al vociare dei locali pubblici e per la musica.
Qual è la differenza rispetto al passato?
Rispetto al criterio dei limiti di decibel di rumori fissato dal Codice civile, che lasciava al giudice un’ampia discrezionalità (stabilendo che i rumori sono consentiti «se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi»), la nuova normativa cambia per quanto riguarda solo le sorgenti di rumore derivanti da attività produttive, commerciali o professionali. Con la conseguenza che il giudice dovrà vietare (anche in base al criterio dei tre decibel) le immissioni rumorose che non superino i limiti fissati dai Dpcm attuativi della legge 447/95.