Non sono solito produrre editoriali, non fanno parte del nostro modo di fare giornalismo che cerchiamo di caratterizzare facendo informazione e raramente opinione. Tuttavia, sono giorni che assisto ad uno scandalo che difficilmente dimenticheremo. Immagino ce ne siano tanti altri e in diversi settori, ma vivendo tantissimo lo sport nella mia quotidianità (scrive un giornalista sportivo, un presidente di calcio a 5, un arbitro ed ex giocatore di basket) sto toccando con mano problematiche che attanagliano milioni di persone in Italia, caso a parte – e peggiore – la Campania.
A marzo 2020 un evento straordinario ha sconvolto un mondo intero. Non dimenticheremo mai le immagini delle grandi metropoli vuote come il più piccolo dei paesini di campagna. Era l’unica arma che avevamo per contrastare il “nemico invisibile” che si muoveva con le persone: chiuderci in casa. Poi le cose sono andate meglio, probabilmente l’economia ha detto che non poteva più aspettare e in Italia come nel mondo è arrivato il tanto atteso “liberi tutti”. “Dobbiamo conviverci con il virus, mai più lockdown” sentivamo dire mentre eravamo stesi sul lettino a 5 metri dal mare e sotto il sole cocente dell’estate. Proprio in questa fase, tutto il settore dello sport ha chiesto al Governo se c’era la possibilità di ripartire in sicurezza chiedendo massima attenzione poiché un nuovo stop in corsa della stagione sportiva avrebbe creato problemi enormi. “Dobbiamo convivere, certo che si può ripartire”.
Tutte le Federazioni si sono attivate dando vita poi ai vari protocolli che hanno comportato un aumento dei costi non irrilevante per piccole e grandi società sportive. La voglia di ricominciare, però, era tanta e quindi si è trovato il giusto compromesso tra l’entusiasmo e la paura: ripartire in sicurezza. Le squadre riprendono ad allenarsi, non riprende solo la serie A del calcio e del basket, ma anche tante altre serie minori, fino ad arrivare a qualche campionato regionale. Ad un tratto, dopo un estate da 300 casi al giorno e una media tamponi ridicola, siamo passati a 3000, 5000, 7000, 10000, 15000 casi al giorno con tamponi cresciuti in maniera esponenziale. Ci saremmo aspettati misure mirate: aumento del numero e della velocità dei tamponi e quindi della diagnosi, aumento dei posti letto, chiusure di attività o zone dove si sviluppavano dei focolai.
E invece, tra il 4 e il 15 ottobre tutto il mondo dello sport è stato in ansia (e lo è tutt’ora) per sentirsi dire prima che si fermava lo sport amatoriale e non quello dilettantistico, poi – l’apoteosi – si fermava il dilettantistico con il settore di base (i bambini fino a 10 anni) ma non quello di rilevanza regionale e nazionale; quindi si ferma pure il provinciale, che però pone davanti ad un paradosso: un 15enne che gioca in una giovanile di una squadra professionistica o comunque in una società che partecipa a campionati regionali può giocare, il 15enne che gioca in società minori e in campionati provinciali sta a casa. Ci siamo persi qualcosa? Il covid colpisce solo i “piccoli” e i “poveri”? Cristiano Ronaldo docet.
Non è finita qui. Il premier Conte minaccia una chiusura “se ci accorgiamo che non vengono rispettati i protocolli, abbiamo segnalazioni discordanti”. Ma va? In Italia c’è chi rispetta le regole e chi no? Vuoi vedere che magari mancano pure i controlli? L’ultimo DPCM è un’offesa a tutti gli sportivi, un’umiliazione che solo un Ministro dello Sport incompetente come Spadafora poteva permettere. Un decreto in cui si decide di non decidere, mandando in confusione tutti così da scoraggiare il prosieguo delle attività e quindi di fatto chiudere, ma senza maturare un obbligo economico nei confronti del settore chiuso in maniera coercitiva.
Poi è arrivato lo sceriffo di Salerno, che se nella prima ondata si è distinto per la sua decisione e chiarezza nei provvedimenti, nella seconda ondata sta facendo peggio del Governo. Nessuna ordinanza vieta lo sport, ma con la n.82 De Luca vieta gli spostamenti tra province. Quindi l’Albanova (Caserta) può venire a giocare a Ischia (Napoli)? La LND Campania interroga De Luca e Mr. “ALLAUEN” non risponde. Nel frattempo il basket rinvia l’inizio dei campionati a fine novembre, il calcio e il calcio a 5 ci pensano seriamente, ma molti campionati sono già iniziati. Il risultato è quello di cui prima: “Non sei tu che mi chiudi, sono io che mi ritiro”.
Gli effetti? Eh, non basterebbe forse un altro “editoriale”. Cominciamo da quelli che sono stati penalizzati per primi (come al solito): i bambini. Sempre il “Fratacchione” De Luca ha optato per la didattica a distanza, costringendo (in maniera giustificata? Forse sì) i bambini e i loro genitori ad almeno 4 ore di computer. Poi questi bambini avrebbero due opzioni: restare chiusi in casa davanti a BOING per altre 10 ore, oppure andare a fare assembramenti nei parchi e nelle aree pubbliche.Poi ci sono gli eroi, quelle società che si sono comunque organizzate per svolgere attività individuale (tra mille difficoltà) dando la possibilità ai bambini di avere 2 ore settimanale in cui sviluppare capacità motorie, di socializzazione e soprattutto crescere in maniera sana. Dopo quattro mesi chiusi in casa, in uno stato che si dice “civile e sociale” non è concepibile che in quattro mesi in cui si è fatto di tutto non si è stati in grado di avere idee chiare su cosa e come si poteva fare nel caso in cui sarebbe ritornata (come previsto) una nuova ondata. L’aspetto sociale riguarda i bambini come i giovani, ai quale come minimo deve essere garantito di allenarsi in gruppo seppur rinviando le gare agonistiche e i campionati all’anno nuovo.
Discorso a parte lo meritano i “senior”, quindi le squadre che giocano nella varie categorie degli sport di contatto. Ora noi dovremmo spiegare a qualche medico del CTS che lo sport è un’attività ESSENZIALE, che si è sostituita spesso alla sanità pubblica, alla sicurezza pubblica, al ministero del lavoro, a quello Stato spesso assente in tutti i campi. Non parliamo del calcio professionistico italiano (seconda industria nazionale), ne’ del basket professionistico, andiamo più giù tra quei “dilettanti” che qualcuno crede siano nullafacenti amanti del pallone. Oltre a tutti gli aspetti legati alla salute e al sociale, lo sport per tanti è lavoro: dal giocatore, ai tecnici e ai dirigenti che sono stipendiati, a tutti i servizi collaterali (media compresi) che ruotano intorno allo sport a qualsiasi livello, anche quello dell’ultima serie che ovviamente muoverà cifre inferiori. Miliardi di euro che potrebbero andare in fumo senza un’evidenza scientifica e statistica che dimostri che nello sport stiamo avendo numeri altissimi di contagio.
La riflessione poi, quella più importante, va fatta sulle società. La scorsa stagione è stata stroncata a metà e ha già prodotto dei problemi seri e una crisi che in tanti speravano di recuperare proprio con questa stagione. Ed era stato chiesto al Governo di dare il via libera solo se poi non ci sarebbero state interruzioni e che nel dubbio era meglio rivedersi direttamente nel 2021. Perchè oggi chi glielo dice a un presidente che ha già investito migliaia di euro “devi fermarti, non sappiamo se la stagione terminerà”? Chi glielo dice ai giocatori, ai dirigenti, agli arbitri, ai collaboratori che avevano programmato di guadagnare una cifra X (magari avendo solo quella), che se ne devono stare a casa e che per loro lo Stato se va tutto bene darà un bonus? Ma la cosa più assurda è che nessuno si prende la responsabilità di fermare lo sport, ne’ definitivamente, ne’ temporaneamente: tutto è in balia delle interpretazioni. La confusione non permette quindi neanche una programmazione a 30 o 60 giorni, costringendo le società ad andare avanti, a bruciare denaro paradossalmente rischiando di non produrre ne’ attività sportiva, ne’ spettacolo (riferendoci alle gare). In più, anche giustamente, ci sono delle limitazioni agli ingressi negli impianti sportivi, quindi meno incassi per le società che però hanno più costi per garantire determinati standard di sicurezza. E con un’economia completamente distrutta, quanto si potrà contare sugli sponsor che poi dovrebbero farsi pubblicità in uno spazio che forse non ci sarà mai?
C’è un pandemia in corso, nessuno può dimenticarlo e la salute viene prima di tutto. Il problema è che si fanno scelte irrazionali, come detto si decide di non decidere, generando danni peggiori di un’eventuale chiusura. Siamo alla frutta e la rassegnazione prevale sul desiderio di sognare un paese che non metta lo sport e l’associazionismo nell’ultimo cassetto dell’archivio pieno di polvere. Pagheremo carissimo questo prezzo ma gli effetti negativi li vedremo quando Conte e De Luca si staranno già godendo tutti i privilegi della politica anche dopo la fine dei rispettivi mandati. Lo sport era un malato terminale, nel 2020 l’hanno umiliato e seppellito definitivamente.
VINCENZO AGNESE